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45&Fat / Il negozio di dischi

Aggiornamento: 25 mar 2020


LATO B / IL NEGOZIO DI DISCHI

Oltre alla fruizione, un’altra esperienza cambiata radicalmente nello scenario musicale contemporaneo rispetto agli anni ’80 e ’90 è quella dell’acquisto.

Lego Vinyl Store

Durante gli anni del liceo (’85-’90) per me e i miei amici andare al negozio di dischi il sabato pomeriggio era un rito: entravi alla Casa del Disco, sfogliavi tutti quei dischi con quelle copertine strepitose e ascoltavi qualche disco con delle enormi cuffie da dj. Tutto intorno un viavài di personaggi appartenenti a sottoculture ben riconoscibili: dal punk alla ricerca di un biglietto per il concerto di Joe Jackson al Palatrussardi, al dj con i guanti da scratch diretto al piano interrato riservato all’arte del mix.

Nella seconda metà degli anni ’90 mi piaceva fare acquisti alla Fnac di Corso Torino a Milano. Il layout del punto vendita era ben progettato dal punto di vista del layout, dei flussi e della comunicazione visiva. Ricordo dei totem sparsi nel negozio dove potevi ascoltarti una selezione di cd seguendo degli specifici percorsi musicali.

Attualmente nella mia città non esiste più il “negozio di dischi”. Sopravvive solamente quello di vinili in centro grazie al revival dei 33 giri che, anche in Italia, sta portando a ricavi e quote di mercato in continua crescita. Certo, esistono anche i reparti musica delle grandi catene di distribuzione, ma lì ci capito solo di passaggio. In quei metaluoghi, tutti più o meno standardizzati e omologati, compro esclusivamente qualche cd in superofferta.

Qualche giorno fa un anziano Walter Veltroni, durante la bella trasmissione di Riccardo Rossi, “I Miei Vinili”, descriveva il periodo in cui la gente faceva la fila davanti ai negozi di dischi per aspettare l’arrivo delle copie di Sgt. Pepper dei Beatles. Una volta arrivato lo scatolone, i commessi estraevano i 33 giri con quella copertina splendida e gli avventori, a turno, potevano finalmente ascoltare per la prima volta il disco prima di decidere se acquistarlo.

Da un sacco di tempo l’intera esperienza d’acquisto di musica si è spostata sui siti o sulle applicazioni dei grandi distributori di contenuti e prodotti musicali. Oggi, con Amazon che ti consegna i cd a casa in un giorno, Apple Music, Deezer e Spotify che ti mettono a disposizione tutto il parco musica mondiale in streaming e iTunes Store che ti vende le singole tracce a 99 centesimi in un più che dignitoso formato compresso, non capisco l’esigenza di andare ancora a comprare un cd in un negozio di dischi.

Dati alla mano, non è proprio vero che lo streaming stia uccidendo le vendite di cd: le persone continuano comunque a comprare musica sul supporto “materico”. Tralasciando l’affascinante fenomeno revivalistico dei dischi in vinile, il discorso è comunque abbastanza complesso. Soprattutto per quanto riguarda gli artisti più mainstream entrano in gioco le differenti strategie commerciali: eclatante, ad esempio, il caso dell’album “25” di Adele che, inizialmente assente dalle piattaforme di streaming, in una settimana vende quasi 4 milioni di copie. Stesso discorso per Taylor Swift.

Rimanendo nell’ambito del luogo dove acquistare musica, si possono però fare considerazioni un po’ più romantiche. “Alta Fedeltà” (High Fidelity), film del 2000 tratto dall’omonimo romanzo di Nick Hornby, rimane il mio film di riferimento sull’argomento. Si parla di musica, compilation su cassetta, classifiche. Poi c’è anche il contorno della commedia romantica, ma sinceramente non è la trama quello che mi interessa del film.

Il protagonista (John Cusack) è Rob, il proprietario del Championship Vinyl, negozio di dischi alla periferia di Chicago. C’è una scena in cui Rob si guarda attorno e capisce che potrebbe essere il momento giusto per vendere qualche copia della compilation “The Three EP’s” di The Beta Band; così lo sussurra all’orecchio di uno dei suoi due commessi, il quale fa partire in sottofondo Dry The Rain, la prima traccia del disco.

Quella sequenza, quel mood, mi fa venir voglia di aprire quello che oggi potrebbe essere non più un negozio di dischi, ma un “negozio di musica”; un posto che crei del valore aggiunto che giustifichi la fatica di essere entrato in un negozio anziché aver navigato su Amazon.it.

Più che un negozio, un club in cui venire accolto da persone veramente interessate e competenti e non da un algoritmo che mi consiglia 4 cd che già ho.

Uno spazio stimolante in cui scoprire e ascoltare qualcosa di nuovo, vedere video musicali o spezzoni di film con colonne sonore strepitose tipo Pulp Fiction, The Blues Brothers, Quadrophenia, Hanna, Lost in Translation, Scott Pilgrim vs. The World.

Un po’ meglio che rovistare nei cestoni delle offerte dell’Iper.

Note

  1. In tutta la storia sono stato attento a non utilizzare termini quali hipster, vintage o fisicamente. Ovviamente non ho neanche scritto “piuttosto che” a cazzo. Spero che questo sforzo venga apprezzato.

  2. Sia ben chiaro che non ho mai comprato o ascoltato un album di Adele o di Taylor Swift.

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