Varese, 16 Maggio, Anno I d.C.*
Pandemia: lo storytelling musicale di Bugo
L’ultimo mantra che inizio ad odiare come i precedenti slogan e hashtag sociali di questa pandemia è: “niente sarà più come prima”… E meno male!!! (come recitava nel video qui sopra il sommo poeta Cristian Bugatti).
Spero tanto che tutta questa situazione assurda ci serva a capire che il prima non è che fosse poi così perfetto.
Fin dall’inizio dell’epidemia, ci è stato raccontato di essere entrati improvvisamente in guerra. La Storia, o meglio, Alessandro Barbero ci insegna che in una situazione di estrema emergenza quale quella di un conflitto bellico, chi si è ritrovato nella posizione di dover prendere delle decisioni immediate ha sempre commesso una quantità enorme di errori o preso decisioni sbagliate. Molto spesso le guerre sono state vinte da chi è stato capace di commettere meno errori.
Come diceva Foucault (no, non ho mai letto Foucault, ma è bello citare i filosofi in questi periodi di riflessione sulla complessità), la storia dell’umanità è fatta da stati di eccezione a cui seguono sempre degli stati di “nuova normalità” (altra definizione che fa figo usare in questi ultimi giorni). Speriamo che le persone, in questa rinnovata normalità, non dimentichino tanto presto gli enormi errori commessi durante l’emergenza, ma neanche quelli precedenti, che sono stati in parte causa della crisi stessa.
Comunicare in emergenza.
Per quanto riguarda la comunicazione e la progettazione strategica, gli errori commessi “ai tempi del coronavirus” (espressione originalissima divenuta un must del copywriting mondiale) sono stati evidenti; ma sono figli di lacune ben più antiche.
Come spiegato molto bene in un interessante articolo di informazionesenzafiltro del mese scorso, la “comunicazione in emergenza” non è qualcosa che si improvvisa: non aver progettato negli anni un piano strategico per gestire una situazione tutto sommato prevedibile (e da più parti anche prevista con una certa precisione), ha causato danni enormi che si sarebbero potuti in grossa parte evitare.
E probabilmente aver avuto Rocco Casalino come responsabile dell’ufficio stampa, non penso che abbia giovato moltissimo al Capo del Governo durante la crisi in corso. I responsabili politici andrebbero formati per gestire informazioni e messaggi all’interno di scenari così complessi; invece la comunicazione istituzionale, tanto più nelle situazioni di emergenza, è considerata uno strumento di propaganda, legato al consenso, da tenere ben stretto e da affidare ad un “esperto in comunicazione” senza una formazione specifica.
Da Chernobyl (34 anni fa) non abbiamo capito niente; eppure è proprio la comunicazione (istituzionale e dei mass-media professionali) che “definisce il livello di percezione della minaccia tra la gente”. Soprattutto se è una minaccia invisibile.
Alcuni errori di comunicazione più evidenti da parte di istituzioni e “comunità scientifica” sono stati ben descritti da un articolo letto su Linkiesta qualche giorno fa, che descrive in poche parole l’opinione che in molti ci siamo fatti della non-governace italiana durante questi ultimi due mesi abbondanti: “(…) si può correre, non si può correre. (...) Poi si può aprire, ma non si può consumare. I congiunti sì, gli amanti no. I cugini di sesto grado sì, gli amici no. Si riparte, ma non troppo. Più l’incresciosa vicenda del passare ai giornalisti lo «scenario irrealistico» da 151 mila terapie intensive per giustificare la mezza apertura e per rispondere alle critiche".
Ma diciamoci la verità, la gestione di questo disastro mondiale è stato un fallimento totale: mesi passati a parlare di digital disruption, big data, internet of things e industria 4.0… e poi si scopre improvvisamente che in Italia ci sono 850 mila studenti senza tablet o computer e che medici e infermieri sono stati mandati a combattere senza mascherine, mentre in fabbrica, operai e impiegati continuavano a lavorare in ambienti che venivano sanificati con il Vetril®.
E per pietà, basta con la favola del “modello Italia” ammirato e preso come riferimento dagli altri Paesi, perché semplicemente non è vero: basta dare un’occhiata a moltissimi articoli pubblicati all’estero e alle impietose classifiche basate sull’analisi dei dati (come quelle del Deep Kwoledge Group) dei Paesi che meglio hanno saputo fronteggiare il Covid-19.
Persone e Fiducia.
Il sopracitato ingegner Casalino, “spin doctor” del Movimento 5 Stelle, capace di partecipare 20 anni fa al Grande Fratello e di conseguire nello stesso anno un MBA negli Stati Uniti, mi riporta al discorso iniziale sul non dimenticare il passato: speriamo che nella prossima nuova normalità le persone vengano valutate e selezionate per le proprie competenze e per essere persone di cui potersi fidare.
Fiducia, appunto: altro termine ricorrente in questa come in altre crisi recenti. Pensiamo ad esempio alla crisi finanziaria del 2008 e a come proprio il crollo della fiducia abbia innescato quello dei mercati, investendo poi l’economia "reale" e infine la politica.
Nel prossimo futuro è molto probabile che le nostre scelte d’acquisto di un prodotto o (soprattutto) di un servizio, saranno sempre più dettate dalla fiducia e dalla credibilità che il produttore o il fornitore riusciranno a trasmetterci. Qualcuno già parla di un passaggio dallo stra-abusato concetto di storytelling a quello di “storydoing”: spiegare e far vedere ciò che concretamente si sta facendo per garantire la sicurezza e il benessere dei propri clienti, conquistandone quindi la fiducia.
Visione e Benessere.
Il “distanziamento sociale” (altro pessimo neologismo, a mio parere sostituibile da un più corretto e meno snob “distanziamento fisico”) che sta regolando il nostro presente, ci accompagnerà per un po’ di tempo ancora. Lo scenario che mi immagino è un ibrido tra il Medioevo, la serie antologica "Black Mirror" e “Neuro Habitat”, le cronache dell’isolazionismo uscite dalla mente geniale e un po' malata di Miguel Ángel Martín.
Mi immagino: (poco) lavoro a distanza, mascherine bio-fashion al profumo di camomilla e cardamomo, nuovi modelli di turismo monastico e di intrattenimento drive-in, discoteche per una persona sola e peep-show teatrali on-demand. Tutti gli edifici con più di un piano saranno dotati di carrucole progettate per ogni tipo di delivery: l’evoluzione steampunk del tradizionale “panaro” napoletano.
Anche in Politica sarei felice di ascoltare o leggere finalmente meno pre-visioni e più visioni. Il panorama politico italiano mi dà la nausea ormai da più di vent’anni: i programmi elettorali (in sostanza gli elenchi delle promesse) sono quasi sempre gli stessi per i vari schieramenti; nella comunicazione istituzionale dei vari partiti e movimenti non si accenna mai ai valori fondanti, all’identità, alla visione a lungo termine.
Quelli che dovrebbero essere i leader politici, gli ispiratori, sono bravi a raccontare cosa fanno o vorrebbero fare, come lo vorrebbero fare, ma mai, veramente perché lo fanno: quali sono le motivazioni che li hanno spinti a dedicarsi a quel progetto politico e perchè qualcun altro dovrebbe aiutarli a realizzare quella particolare idea.
Qualche giorno fa si discuteva su Facebook a proposito di quali potessero essere i nuovi pilastri della ricostruzione che ci aspetta. Per quanto mi riguarda, sarebbe bello che la guida, il faro di un prossimo progetto politico fosse il Benessere, concetto legato, come dicono i miei amici di Passodue**, alla qualità della vita interiore e contrapposto al concetto di “ben-avere”.
Quindi, per evitare che, dopo uno sgradevolissimo e inevitabile periodo di scaricabarile generale, il nuovo “Rinascimento Italiano” venga messo definitivamente nelle mani di Matteo Salvini o nelle pinne delle Sardine, invito tutti quelli che sono arrivati a leggere fino a questo punto a scrivere insieme su Zoom.us il Manifesto Italiano del Partito del Benessere (PB).
PS Ci sarà da lavorare anche sul nome del Partito...
*dopo Corona
**da “La Vendita Etica. Uno strumento per incrementare risultati e benessere” di Alberto Aleo e Alice Alessandri.
Commenti