Durante le ultime settimane di aprile avrò letto un miliardo di post, articoli e pareri sulla recente emorragia di abbonati a Netflix. La maggior parte delle analisi si è concentrata sulle possibili cause (costo dell'abbonamento, condivisione degli account, crisi Russa...) e sugli scenari futuri, come la possibilità di aprire alla pubblicità introducendo nuove forme "ibride" di abbonamento.
Sarebbe però interessante analizzare e capire meglio anche gli eventuali cali nella qualità dell’offerta di Netflix negli ultimi tempi, dal punto di vista dell’abbonato appassionato di serie tv.
Su Facebook curo una strepitosa pagina di fama intercondominiale che recensisce le serie Netflix di un certo livello: «Favourites on Netflix».
(Su questo blog è possibile consultare la classifica costantemente aggiornata delle «Top 21» serie recensite su quella pagina).
Le recensioni consistono in un breve commento riassuntivo e 5 voti che prendono in considerazione alcuni parametri qualitativi.
Ultimamente, però, si fa oggettivamente molta fatica a scovare nuove serie degne di figurare tra le «preferite» del catalogo. E questa fatica non dipende solamente dall’interfaccia che ti fa perdere ore solo per scegliere qualcosa di nuovo da vedere... e che poi, troppo spesso, si rivela una cagata pazzesca.
Penso di non essere l’unico ad aver notato che le serie/evento come «Stranger Things», «La Casa di Carta», «Squid Games», ma anche capolavori come «Bojack Horseman», «Mindhunter», «Ozark», «Better Call Saul», siano ormai merce rarissima all’interno dell’offerta sempre più ampia di Netflix.
Una diretta conseguenza della scarsa qualità media è la difficoltà di scelta (aumentata anche da un algoritmo non proprio eccezionale) che comporta, per l'utente, la crescita del costo sommerso che deriva dal fatto di dover comunque vedere una nuova serie (scelta magari un po’ a caso) almeno per un certo numero di puntate, prima di decidere di abbandonarla definitivamente.
Aver dato la colpa della perdita di clienti principalmente all’«account sharing» o agli (ex) abbonati russi, quasi come una scusa per giustificare l’eventuale introduzione della pubblicità, è stata a mio parere una comunicazione ufficiale un po’ superficiale e irrispettosa nei confronti dei propri abbonati.
Non sono neanche sicuro, come tanti commentatori delle ultime settimane, che il motivo principale del calo di abbonati sia esclusivamente una questione di prezzo.
Brand Positioning e promesse disattese.
Personalmente ritengo che la mancanza di un posizionamento netto del brand sia uno dei punti cruciali e strategici della recente crisi di Netflix.
Il posizionamento dei nuovi e vecchi brand dello streaming non mi è mai sembrato chiarissimo, ma ho sempre considerato quello di Netflix una «promessa di qualità».
I riferimenti alla qualità cinematografica mi sono sempre sembrati evidenti: l’etimologia di «net-flix», il rosso/red carpet e lo stile cinemascope del logotipo, l’«introduzione musicale» firmata da Hans Zimmer (famosissimo compositore di colonne sonore per il cinema), l'ormai nota «identità sonica» (il famoso «TUDUM») e per l’appunto, l’assenza della pubblicità.
Netflix avrà fatto probabilmente più fatica a costruire e mantenere un posizionamento distintivo rispetto ad altri brand come ad esempio Disney+ (con il suo ecosistema comprendente Pixar, Marvel e Lucasfilm), all’interno di un mercato dell’intrattenimento online sempre più competitivo in cui adesso, a differenza dei primi anni di vita, si trova a confrontarsi non solo con altri player locali, ma anche con YouTube, TikTok o Twitch, soprattutto per un certo tipo di target a cui ultimamente Netflix sembra ammiccare decisamente (vedi le decine di «teen drama» prodotte e distribuite).
Netflix ha scelto un modello di business che l’ha portata a concentrare sforzi e risorse per acquisire costantemente nuovi abbonati (scegliendo quindi di concorrere sulla quantità piuttosto che sulla qualità); dimenticandosi forse di cosa rappresenti (o abbia rappresentato) il brand per i vecchi clienti.
Promettere «qualità cinematografica» o puntare sull’ampiezza (di gamma e di gusti) del catalogo per aumentare costantemente la base di abbonati, sono due posizionamenti e due promesse completamente differenti.
Nel secondo caso ti trovi a dover competere sul prezzo, arrivando quindi a prendere in considerazione anche l’eventuale raccolta pubblicitaria (da cui Amazon, ad esempio, ha ricavato l’anno scorso più di 30 miliardi di dollari).
L'impressione, in sintesi, è che posizionamento, identità distintiva e soprattutto «design strategico» (la progettazione dell’intero «sistema d’offerta» che non si compone del semplice e solo catalogo di titoli di film e serie tv) siano stati un po’ sottovalutati nel tempo.
Sta di fatto che, per la prima volta dopo tanti anni, un mercato senza più Netflix potrebbe essere purtroppo uno scenario non più così impensabile e, ironia della sorte, Netflix potrebbe fare la fine di Blockbuster (che chiuse proprio a causa dell’arrivo della società di Reed Hastings & soci).
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