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Immagine del redattoreRiccardo Urso

Don't Look Up!

Adam McKay ha diretto/scritto/sceneggiato tutti i miei film preferiti degli anni 2000: i capolavori demenziali assoluti Anchorman (La leggenda di Ron Burgundy), Anchorman 2 (Fotti la notizia), Ricky Bobby (La storia di un uomo che sapeva contare fino a uno), Fratellastri a 40 anni, Eurovision Song Contest (La storia dei Fire Saga) e il più “serio” La Grande Scommessa. Inoltre ha prodotto la clamorosa serie Succession per HBO (di cui ha anche diretto il pilota), Il Dittatore (capolavoro con Sacha Baron Cohen) e Daddy’s Home.

E ora ha diretto e scritto Don’t Look Up, il film uscito prima al cinema e poi su Netflix il 24 dicembre, di cui si parla tanto in questi ultimi giorni dell'anno.

Visti i precedenti, quindi, le aspettative da parte mia su questo nuovo lavoro erano altissime e alla fine, sebbene attendessi un pizzico di divertimento e di battute fulminanti in più, il film mi è piaciuto molto.

Come in Anchorman, la presa in giro continua dei mezzi di comunicazione di massa attuali è evidente. Se nel film scritto insieme al mitico Will Ferrell, la satira si concentrava sulla televisione, in Don't Look Up il focus è sui social media e sui talk show di intrashtenimento. Rispetto ad Anchorman, però, questo tipo di rappresentazione suscita a volte più desolazione che puro divertimento, proprio perché ci si rende facilmente conto che in molti casi la realtà dei nostri giorni è praticamente già quella estremizzata nella finzione di Don't Look Up. È questo, probabilmente, il senso di quel “basato su eventi reali non ancora accaduti” con cui viene presentato il film attraverso il trailer ufficiale di Netflix.


Il classico esempio di realtà che supera la fantasia.

L’assurdità demenziale della comunicazione social e della presenza fissa nella tv spazzatura da parte di alcune mega-star dello spettacolo dei giorni nostri, ad esempio, è riassunta nella breve sequenza in cui Riley Bina, la popstar interpretata da Ariana Grande, dice al Prof. Randall Mindy (Leonardo Di Caprio), nel backstage del talk-show, di "farsi i cazzi propri", proprio qualche minuto prima di raccontare i cazzi propri, in diretta, a milioni di spettatori.

L’altro evidente riferimento contemporaneo, più che al tema dei cambiamenti climatici, è sicuramente alla pandemia e ai danni, letali, causati sia dall'assurdo scenario social-mediatico, che da una palese difficoltà di comunicare alla massa in modo efficace da parte della comunità scientifica: una delle tante sottotracce della sceneggiatura di McKay legate alla situazione che stiamo vivendo da un paio di anni.


Geniale è anche la figura della Presidentessa interpretata da Meryl Streep, nella quale leggo una critica, secondo me neanche tanto velata, ad un certa deriva che spesso sembra prendere il dibattito sulla parità di genere.

Nel film, infatti, il sogno (finalmente realizzato) della prima Presidente donna nella storia degli Stati Uniti, non è che sia proprio questa grande conquista, nel momento in cui si dimostra una totale idiota sottomessa completamente ai propri finanziatori e alla ricerca vitale di consensi.

Un cast stellare.


cast di don't look up

In qualche (rara) recensione semi-negativa, si evidenzia una certa difficoltà da parte del regista nel valorizzare e dare i giusti pesi a tutti i nomi illustri che costituiscono il cast di Don't Look Up, che è proprio il caso di definire “stellare”, visto l’argomento astronomico del film.

A mio parere invece, come anche negli altri recenti lavori di McKay, i vari Di Caprio, Lawrence, Streep, Blanchett, Hill & C., sono stati gestiti e sfruttati egregiamente dal regista.

Un apprezzamento personale, oltre ai due protagonisti principali e al ruolo chiave del magnate/imprenditore Peter Isherwell (Mark Rylance), personaggio ibrido a metà tra Elon Musk e Andy Warhol, va all’interpretazione di Jonah Hill e al suo lavoro nel costruire il personaggio del figlio della Presidente. Il dettaglio della borsa è eccezionale, così come anche la sua idea, raccontata in un’intervento al Tonight Show di Jimmy Fallon, di rappresentare il ruolo del personaggio "come se il Fyre Festival fosse stato una persona".


 

In conclusione, Don’t Look Up non è certamente il film di Adam McKay che ho preferito in assoluto, ma è sicuramente un’ottima riflessione sulla deprimente realtà di oggi, con una buona dose di demenziale divertimento. Un film da vedere sicuramente, secondo il mio modesto parere...


scheda con voti a Don't Look Up | Favourtites on Netflix
La scheda di Favourites on Netflix.


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