Ritorniamo sull’argomento “Social Media Manager di Unieuro” per continuare ad andare in controtendenza rispetto alla maggior parte degli addetti ai lavori che ritengono la campagna in questione (se di campagna si può parlare), un case study geniale e di clamoroso successo social.
A mio parere l’inefficacia di questo tipo di comunicazione, si misura confrontando le migliaia di like, commenti e condivisioni di quel tipo di post, con la media di tutti gli altri post normali della pagina di Unieuro: qualche decina di like e commenti per lo più negativi. Confronto che non mi fa ancora capire il valore, la finalità o la metrica con cui viene valutato questo tipo di creatività per quello specifico brand.
Per chi fosse all’oscuro di tutta la vicenda o non si ricordasse bene di cosa si stia parlando, facciamo un breve ripasso…
Riassunto delle puntate precedenti: il social media manager di Unieuro conquista tutti!
L’argomento a cui mi riferisco è l'ormai famosa (sempre per gli addetti ai lavori di cui sopra) campagna digital legata alla promozione di una lavatrice sulle pagine social (Facebook e Twitter) di Unieuro.
Il post di lancio di quest’offerta era il seguente:
Cliccando su “Altro” si apriva una catena di successivi post e commenti del seguente tenore:
A parlare non era più l'azienda, all'interno della propria pagina, ma il social media manager della pagina che ad un certo punto decide (giustamente) di sfogarsi pubblicamente. Questo sfogo venne definito da una giornalista collaboratrice di Ninja Academy: un “flusso di coscienza social che sovverte le regole del Marketing”, un “delirio comunicativo che fa ridere, divertire, appassionare migliaia di persone”.
Ovviamente si sprecano ancora oggi gli elogi per il social media manager di Unieuro (“figura ormai iconica e star incontrastata del web”) e per il successo online, come sempre misurato e decretato dalle solite metriche: oltre 61.000 "reazioni", 13.000 commenti, più di 11.000 condivisioni; trend topic su Facebook per la prima serie di post. La mia, di reazione, di fronte a questi numeri, è prima di tutto la triste constatazione che la gente si diverte veramente con poco; ma questo riguarda il mio personale gusto su ciò che mi fa ridere. Una seconda riflessione meno personale riguarda però il criterio di giudizio con il quale si definisce il successo di un’attività del genere che, ad esempio, non dovrebbe autoconcludersi nelle stanze virtuali di Facebook, ma dovrebbe tradursi in un’azione nel mondo reale: in questo caso acquistare una lavatrice da Unieuro. (Lavatrice che, in quel caso, faceva parte di una promozione del volantino di Unieuro).
Probabilmente la visibilità della promozione sarà stata aumentata da tutto questo traffico organico e autoalimentato; ma, a giudicare dalla stragrande maggioranza dei commenti sotto tutti quei post (quasi tutti rivolti alla genialità del social media manager), dubito fortemente che il messaggio sia arrivato ai potenziali diretti interessati, ovvero a chi avesse dovuto acquistare una lavatrice e non a chi si occupi invece di comunicazione, marketing, giornalismo o “socialmediacose”.
Tanti esperti sostengono però che l’obiettivo della comunicazione non fosse quello di descrivere il prodotto, ma di “fare branding” 🤔... Perché non serve comunicare le caratteristiche del prodotto; quello che conta è comunicare un’immagine di Unieuro come azienda “giovane, che ne capisca di cultura della Generazione Z, di meme e linguaggio comune”.
Il problema è che utilizzare “fra”, “bella zio” o “cringe”, non penso abbia questo gran tasso di coinvolgimento verso la clientela di Unieuro.
Considerazioni finali.
La mia valutazione di tutta l'attività non è una critica né al contenuto (che, per gusto personale, come scritto, non trovo per niente coinvolgente o particolarmente originale), né alla forma o allo stile della scrittura.
L’aspetto originale di questa attività è stata sicuramente la scelta, da parte dell’agenzia, di aver fatto parlare/sfogare, all’interno di una pagina istituzionale, il social media manager e non più “il brand”.
Ma la mia lettura in estrema sintesi è: ho una pagina social aziendale che mi costa, a cui dedico una parte del budget, ma che non provoca nessun tipo di interazione. Soluzione: mi affido alla creatività di un’agenzia che mi porta in qualche modo traffico e hype sulla pagina. Ho risolto il mio problema? A mio parere no, perché ho sempre una pagina che in tutti gli altri momenti di vita è utilizzata solo per postare commenti critici e lamentele e continua a non dare nessun valore agli utenti online e ai miei clienti.
E soprattutto non comunica niente del brand Unieuro (ma potrebbe essere qualunque altro brand), perché a parlare in quei post è il social media manager, cioè una persona esterna all’azienda che parla dei cavoli suoi.
Inoltre, a mio parere (parere di chi si è occupato per tanti anni di trade marketing, comunicazione e formazione agli assistenti alle vendite nei negozi, anche Unieuro) è proprio per gli elettrodomestici bianchi, percepiti spesso dai clienti quasi come delle commodities, che una buona consulenza sul prodotto diventa strategica ai fini della vendita. Dovrebbe essere proprio quella consulenza il valore aggiunto del negozio, inteso come punto di contatto, virtuale o reale che sia, tra il brand e i propri utenti. E magari si sarebbe potuto sfruttare proprio il touchpoint di quella pagina per migliorare tutti quegli aspetti legati al servizio.
Come scriveva Gianluca Diegoli in un suo vecchio "Manifesto per la Marketing Transformation", bisognerebbe considerare sempre l'equilibrio tra attivo e passivo nel rapporto di comunicazione tra un marchio e il suo pubblico. All'attivo ci dovrebbero essere voci come: contenuti utili, rilevanza, prodotto o servizio distintivo, assistenza multicanale pre-post vendita... Mentre un tipo di advertising irrilevante, la mancanza di supporto e contenuti inutili, rappresentano certamente un passivo.
In passato (e forse anche adesso) alcune persone magari avranno anche avuto voglia di chattare con i marchi e le aziende; ma in questo caso le persone chattano con il social media manager di Unieuro. E che sia proprio di Unieuro è tutto sommato irrilevante.
Sempre più spesso ho l'impressione che chi si occupa di gestire i canali social o chi in azienda è responsabile dell’etichetta “digitale” applicata al marketing, non abbia probabilmente idea di come debba essere comunicato un prodotto per assistere il cliente nella scelta d'acquisto.
In conclusione (visto che, contagiato forse dal freestyle comunicativo del socialmediacoso, rischio di andare veramente fuori tema), a me sembra che la comunicazione social, in questo e in altri casi simili, venga interpretata come una sorta di sperimentazione, di creatività generalizzata; molto spesso funzionale alla sola visibilità e autopromozione dell’agenzia di comunicazione, più che alla comunicazione dei valori e dell’identità del brand.
E non penso che l’autrice dell’articolo citato più in alto (linkato nella newsletter settimanale di Ninja Academy) intendesse questo con “sovvertire le regole del Marketing”.
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