top of page
  • Immagine del redattoreRiccardo Urso

Social o Non-Social...

Aggiornamento: 5 mag 2021


scheda the social dilemma

... questo ĆØ il Dilemma.


Un vecchio adagio dell’Internet (e del Marketing), stracitato, ma che fa sempre fare un figurone ĆØ: ā€œse il prodotto ĆØ gratis, il prodotto sei tuā€. E ovviamente The Social Dilemma non si fa sfuggire l’occasione di citarlo per ricordarci che il prodotto che le varie piattaforme social vendono ai loro effettivi clienti (gli inserzionisti) siamo noi, o meglio, la quantitĆ  infinita di dati sulle nostre interazioni, analizzati e sintetizzati in modelli che riescano a prevedere i nostri comportamenti futuri con un certo grado di certezza.


ƈ il modello di business che Shoshana Zuboff, professoressa dell’Harvard Business School intervistata a inizio film, definisce ā€œcapitalismo della sorveglianzaā€: un nuovo tipo di mercato, mai esistito prima, che commercia futures sull’essere umano, previsioni certe (ā€œthey sell certaintyā€, recita la Zuboff) basate sull’analisi di enormi quantitĆ  di dati. Un mercato che ha portato alla nascita delle societĆ  della storia più ricche di sempre.


E fin qui niente di veramente nuovo o eclatante.

Inizialmente l'aspetto probabilmente più interessante del racconto è che, in una sorta di session catartica di gruppo, siano proprio i responsabili della creazione di questo mondo (amministratori, progettisti, sviluppatori, responsabili della crescita del business, ecc...) a raccontarcelo; dando in questo modo anche autorevolezza alla veste documentaristica del film di Jeff Orlowski, presentato al Sundance Festival a inizio anno e disponibile da settembre su Netflix.


La parte iniziale continua con il tema della tecnologia persuasiva, descrivendo gli studi e le tecniche che hanno ispirato il design delle funzionalitĆ  ormai consolidate su ogni piattaforma social: ad esempio lo scrolling verticale del proprio feed di Facebook o Instagram per aggiornare ossessivamente i contenuti in cerca di novitĆ  e ricompense, risponderebbe a quello che in psicologia cognitiva comportamentale viene definito un ā€œrinforzo positivo intermittenteā€.



Il passo successivo, scandito dalla voce di Nina Simone sulle note della bellissima ā€œI Put a Spell on Youā€ in sottofondo, ĆØ quello della dipendenza (da mail, app, notifiche, like...): uno degli elementi più pericolosi di questo tipo di corredo tecnologico, di cui troppo spesso sottovalutiamo l’impatto. E non solo sulle generazioni più giovani sulle quali si concentra invece l’autore attraverso la parte di fiction inserita nel documentario.


L’ultimo macro-argomento trattato da ā€œThe Social Dilemmaā€ riguarda infine il problema dei contenuti online. Siamo ormai passati dall’Era dell’Informazione del periodo ’90/2000 all’odierna Era della Disinformazione; ed ĆØ stato proprio lo sviluppo della tecnologia, con l’intelligenza artificiale a guidare l’analisi dei dati, ad incentivare il fenomeno delle fake-news tanto care ai recenti movimenti populisti, ma anche e soprattutto ad alcune potenziali dittature (vedi il caso Myanmar) che trarrebbero vantaggi dal caos generato da un’informazione drogata e volutamente polarizzata.


La velocitĆ  con cui si diffonde la disinformazione, premiata e incentivata dalle piattaforme, ĆØ estremamente gradita ai sistemi informatici che hanno l’obiettivo di testare sempre più dati per affinare modelli e previsioni, in un giro vizioso che difficilmente potrĆ  essere risolto dalla tecnologia stessa, come invece sembra auspicare Mark Zuckerberg, immediatamente smentito verso la fine del film dalla programmatrice di turno con occhi e capelli turchesi:

l’intelligenza artificiale non può risolvere il problema delle fake-news perchĆ© non riconoscere una notizia falsa, non ha un proxi per la veritĆ , non distingue tra realtĆ  dei fatti e teorie cospirazioniste.

Prima di concludersi con le riflessioni inspiegabilmente ottimistiche di alcuni degli intervistati, il film fa quindi in tempo a darci per spacciati, con le parole di Tristan Harris, ex designer etico di Google, il quale sentenzia che non ĆØ la tecnologia in sĆ© ad essere una minaccia esistenziale per la nostra societĆ , ma ĆØ la parte peggiore della societĆ  (che la tecnologia ĆØ abilissima a tirar fuori), ad essere l’effettiva minaccia esistenziale.


(Ho scritto di questi temi, come ad esempio la disinformazione e la polarizzazione della comunicazione, anche nell'articolo sul "caso" Netflix e Cuties (Mignonnes)).

... e quindi?


E quindi, niente... Secondo me vale la pena vedere ā€œThe Social Dilemmaā€, perchĆ© ci stimola ad essere consapevoli delle logiche che regolano quelli che oggi troppo spesso consideriamo semplicemente degli strumenti messi gratuitamente a nostra disposizione.


Però sarebbe corretto e altrettanto utile allargare lo sguardo ad altri canali (anche offline) dimenticati da questo tipo di narrazione, come ad esempio tutti gli altri siti ai quali, sempre più a cuor leggero, diamo il consenso alla raccolta dei dati di navigazione cliccando frettolosamente sull'invadente bottoncino ā€œAccettoā€ per accedere subito alla visione del contenuto, senza prima perdere qualche secondo per farci un giretto sulle preferenze dei cookie...


E ovviamente trascuriamo il paradosso di rimanere incollati per un’ora e mezza sui server di Netflix (!) per vedere un film sui modi inquietanti con cui le piattaforme di intrattenimento manipolano i nostri cervelli per massimizzare la nostra attenzione e la nostra permanenza sui loro server.

77 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page